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Sentenza di Strasburgo, 14 Gennaio 2016

La Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo ha ritenuto congrua “l’EQUA RIPARAZIONE”

Questa è stata la decisione della Corte Edu, durato circa tre anni. E’ FINITO il processo intentato nei confronti dello Stato Italiano nel gennaio 2013 dall’avv. Michele Scolamiero, promotore di dieci ricorsi (per un totale di 230 assistiti), presentati dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo di Strasburgo, la cui sentenza ha posto la parola fine alle aspettative di migliaia di cittadini danneggiati da trasfusioni infette, nei confronti dei quali lo Stato Italiano aveva promosso un’iniziativa legislativa volta a transigere i contenziosi giudiziari dagli stessi introdotti, al fine di riconoscere loro un giusto risarcimento.

Tale iniziativa sarebbe dovuta essere “analoga” e “coerente” a quella stipulata con circa 700 soggetti emofiliaci, con il decreto 3 novembre 2003 attuativo della legge 141/2003.

Iniziativa che si trasferiva nella Legge 29 novembre 2007, n. 222,  e nella L. 244 /2007, che convertiva il decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in “materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale”.

Nella legge detta, lo Stato Italiano demandava al Ministero della Salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, i criteri che avrebbero consentito di definire i giudizi pendenti, per la stipula delle transazioni con i soggetti sopra elencati e danneggiati a seguito di trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti, o da vaccinazioni obbligatorie.

Pertanto a tale scopo fu emanato il decreto 28 aprile 2009 n. 132 che, nel ribadire i criteri già posti da quello pubblicato dallo stesso Ministero della salute il 3 novembre 2003 per i soggetti emofiliaci, fissava i criteri transattivi per l’attuazione dell’articolo testé sopra riportato e contenuto nel decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e dell’articolo 2, commi 361 e 362, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

In base dunque a detto decreto, i ricorrenti aderivano alla transazione con lo Stato Italiano e attendevano che essa si attivasse con i criteri già fissati e con le modalità e protocolli da eseguire di volta in volta con le cadenze fissate dallo Stato Italiano mediante sue leggi, decreti, regolamenti e circolari ministeriali a compimento della sua proposta transattiva. Sta di fatto però, che dalla scadenza del 19 gennaio 2010, ultima per l’inserimento e l’invio on line della documentazione ritenuta necessaria dal Ministero della Salute ai fini dell’adesione alla transazione (con la creazione dell’elenco nominativo e numerico di eventuali beneficiari denominato RIDAB), fino alla presentazione del ricorso dinanzi alla Corte EDU, nessuna risposta giungeva ai ricorrenti. In tal modo veniva frustrato, non solo l’affidamento di una aspettativa, ma negato il diritto – riconosciuto con legge – alla definizione transattiva del contenzioso instaurato contro lo Stato Italiano. 
Ma addirittura, inopinatamente, allorquando si attendevano le modalità per la liquidazione delle somme siccome fissate nelle L. 222/2007 e 244/07 e successivo decreto 28 aprile 2009 n. 132, con le modalità di accesso e di adesione di cui alla circolare ministeriale 20/10/09, il Ministero della Salute, con decreto del 4 maggio 2012, intitolato “definizione dei moduli transattivi”,  non si limitava a predisporre finanziariamente per ciascun malato aderente alla transazione gli importi già fissati in base alle leggi sopra richiamate e poste a base della transazione medesima, introduceva una condizione che nel ridefinire la ragione stessa del citato accordo, ne alterava la causa negoziale. Il decreto pubblicato il 13 luglio 2012, stabiliva all’art. 5 di escludere dalla transazione tutti coloro che avessero promosso una causa di risarcimento per danni più di cinque anni dopo la scoperta della malattia epatitica e quindi individuando la prescrizione del diritto, ovvero avessero subito una trasfusione di sangue prima del 24.07.1978.

Tanto, in difformità dalle leggi 222/2007, 244/2007 e dal decreto ministeriale 28 aprile 2009 n. 132 in esecuzione rispettivamente dell’articolo 33, comma 2, e articolo 2, comma 362, nelle quali nessun riferimento temporale era posto come condizione per l’accesso alla transazione.

A causa di tali restrizioni, la larga maggioranza della platea di infettati, veniva esclusa da ogni forma di risarcimento. A ciò doveva porre rimedio la Corte EDU, grazie ai ricorsi presentati dall’ avv. Michele Scolamiero, che venivano riuniti anche ad altri ricorsi che nel medesimo periodo venivano depositati da e per altri ricorrenti.

Tuttavia durante l’istruttoria del processo dinanzi alla Corte EDU, lo Stato Italiano poneva in essere una misura legislativa atta a “sopperire parzialmente” alla disattenta ed irresponsabile legiferazione pregressa, tant’è che con essa veniva riconosciuta la possibilità, per ciascun soggetto (e solo per questo) inserito nel famoso elenco RIDAB sopra richiamato, di beneficiare, sulla scorta di alcuni requisiti previsti dalla legge stessa, a titolo di Equa Riparazione, dell’importo di €. 100.000,00, previa rinunzia ad ogni pretesa e/o azione giudiziaria posta in essere nei confronti dello Stato Italiano, sia in sede nazionale che sovra nazionale.

Tale provvedimento normativo vedeva la luce con il D.L. n. 90/2014, art. 27Bis, convertito in L. 114/2014.

La successiva e conseguente istruttoria del giudizio dinanzi alla Corte EDU, per la connotazione intrapresa, segna l’indirizzo utilizzato dalla Corte medesima ai fini della decisione così come è stata resa.

Ebbene la Corte EDU, ha motivato la sua decisione, considerando il rimedio legislativo posto con il richiamato art. 27 bis D.L. 90/2014 convertito nella L. 114/2014 dallo Stato Italiano, satisfattivo, sia sotto l’aspetto economico, sia perché è estensibile a tutti coloro che sono stati inseriti nell’elenco RIDAB (circa 6750 cittadini danneggiati), indipendentemente dall’esito del giudizio per il risarcimento intrapreso dinanzi ai Tribunali nazionali.

Ebbene la Corte EDU, ha motivato la sua decisione, considerando il rimedio legislativo posto con il richiamato art. 27 bis D.L. 90/2014 convertito nella L. 114/2014 dallo Stato Italiano, satisfattivo, sia sotto l’aspetto economico, sia perché è estensibile a tutti coloro che sono stati inseriti nell’elenco RIDAB (circa 6750 cittadini danneggiati), indipendentemente dall’esito del giudizio per il risarcimento intrapreso dinanzi ai Tribunali nazionali. Ebbene non v’è chi non veda, posto che ab initio i ricorsi siccome presentati dall’avv. Scolamiero erano stati considerati ricevibili dalla Corte (nel senso che sussistevano tutte le condizioni per poterli accogliere almeno parzialmente) che il rimedio adottato dallo Stato Italiano in corsa, era studiato e calato all’occorrenza, nel rispetto dei principi cardini della Convenzione UE, più volte violati prima della presentazione del ricorso medesimo dinanzi alla Corte EDU. Sta di fatto che a seguito dell’intervenuto provvedimento normativo, la Corte EDU, da un lato aveva “il compito di eliminare” con un colpo di spugna, le violazione poste in essere dallo Stato Italiano con il decreto ministeriale 162/2012, facendo digerire gli importi in esso previsti per ciascun contagiato e, dall’altro “appagare “l’esigenza dei ricorrenti con una condanna per il sol danno da ritardo, differente per ciascun ricorrente e quantificato da un minimo di €. 20.000,00 ad un massimo di €. 30.000,00 riconosciuto “in esclusiva” solo ai clienti dell’avv. Michele Scolamiero che diligentemente ne aveva fatto richiesta, il tutto attraverso una decisione incompiuta che non solo non rende giustizia, ma che rende ancora più amaro il percorso di vita di migliaia di contagiati e dei loro eredi.

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